QUATTRO BRIGANTI
Quattro briganti sventurati, profughi,
Provati dalle guerre
Sono apparsi sulle Serre
Invocando pace e libertà.
Quattro soldati, disertori della legione tebea,
Dal cuore ben fatto: eran cristiani,

Segnati per una sorte inaudita

Da Massimiano imperatore ei romani.

In questa terra, ben protetti

Da una cerchia di alte montagne,

Confortati da quattro belle compagne,

Han dato vita a una gente, a un paese. 


ELVA E LE BORGATE

ELVA E LE BORGATE

 La difficoltà di accesso al vallone di Elva ha favorito la permanenza di forme architettura che sono da lungo tempo scomparse in zone più accessibili e più turistiche. A causa dello spopolamento, in alcune delle borgate più isolate, la vita si è fermata prima che le tecnologie moderne avessero alcun effetto sui tipi di costruzione, che hanno quindi mantenuto tutto il loro carattere tradizionale. Come in tutta la Val Maira, l’architettura di Elva è caratterizzata da edifici in pietra con tetti a debole pendenza e coperture in ardesia. Però le case più grandi e più regolari fanno pensare a influenze nordiche. Mentre in varie zone della valle si notano villaggi formati dall’accavallarsi apparentemente caotico di piccole costruzioni, la tipica borgata di Elva risulta dall’accostamento di grandi unità che mantengono la loro caratteristica individuale senza in generale compenetrarsi. La forma delle abitazioni determina la forma del villaggio e non viceversa. In questo l’architettura di Elva ricorda più il nord delle Alpi che l’area mediterranea e si avvicina alla struttura dei villaggi dell’alta Val Varaita. Solo nel caso delle frazioni Serre e Brione si nota un’influenza dell’aggregazione urbanistica della borgata sulla forma ed orientamento di alcune costruzioni. E’ pure interessante notare che il vallone di Elva con quello prospiciente di Marmora formano un asse trasversale alle valle principale del Maira dove si trovano gli unici reperti romani della zona e che costituisce una via di passaggio dalla valle Stura alle valle Varaita lungo la quale ancora nel ‘700 fu costruita la cosiddetta strada dei cannoni. Alcune caratteristiche dell’architettura di Elva si avvicinano a quelle di Marmora, quali ad esempio la dimensione delle costruzioni e la loro forma più regolare di quelle del restante della Val Maira.

Inoltre rimangono sei esempi di costruzioni in legno a tronchi sovrapposti del tipo denominato “Blockau” nei paesi di lingua tedesca. Esse si trovano alle grange Garnero, Chiosso Inferiore, Rossenchie, Brione, Mattalia e Ugo. Non si tratta di completi edifici costruiti con questa tecnica, ma di fienili che fanno parte di costruzioni in pietra. La presenza di questo stile conferma come tradizioni nordiche siano state introdotte in questa conca alpina. Una datazione dei legnami usati in questi edifici potrebbe darci qualche informazione sulle loro origini. Però, anche se l’influenza nordica su questo stile risale probabilmente all’alto Medio Evo, una tale datazione rischierebbe di rilevare date ben più recenti. La permanenza della tradizione infatti ha fatto sì che antichissime tecniche costruttive siano state costantemente riutilizzate fino a pochi anni or sono.

 Un’altra caratteristica dell’architettura spontanea è il ri-impego di materiali recuperati da edifici più antichi. A Serre una costruzione sopra la casa canonica mostra un portico sostenuto da tre colonne monolitiche, mentre due importanti portali all’ingresso del giardino della chiesa e nel muro del municipio sono anche evidenti pezzi di recupero.

La chiesa parrocchiale e forse la cappella di S. Bernardo in regione Traverse sono i soli esempi di architettura medioevale che abbia impiegato degli specialisti. Nelle altre costruzioni le sole opere certamente eseguite da personale esterno alla valle sono i numerosi affreschi che ornano la case, ma che sono tutti relativamente recenti ( XIX o inizio XX secolo ).

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La Strada sull'Orrido - Vallone Comba

 

Questa strada collega, con un solco netto e profondo, il paesino situato a 1.637 metri d’altitudine con la carreggiata principale della Valle Maira. Questa strada però non esiste da molti secoli addietro ma è stata ultimata solamente nella seconda metà del XX secolo, dopo che le rocce situate a strapiombo sul torrente furono scalfite pazientemente da un sentiero pericoloso. Dapprima si trattava di un semplice tracciato che più tardi si trasformò in mulattiera e dopo ancora in una vera e propria carrozzabile.

A caratterizzare la storia di questa strada non furono solo le scelte amministrative e tecniche, ma anche gli interessi particolari, i rapporti con le comunità confinanti e con le autorità locali. In particolar modo influì il comportamento degli Elvesi: gli abitanti del versante ovest, infatti, erano favorevoli, mentre la parte est non riteneva utile la costruzione di tale percorso nel Vallone Comba. Bisogna ancora tener conto del fatto che molte persone, soprattutto anziane, non vedevano di buon occhio quest’approccio al mondo e ai nuovi contatti umani.

Questo collegamento diventò concreto grazie all’interessamento di alcune autorità del paese, come i sindaci Chiaffredo Dao, Antonio Garneri e Natale Baudino, il vicesindaco Carlino Dao, e il parroco don Giovanni Chiotti, ma anche con l’aiuto dato dai privati cittadini, che credevano fortemente nell’impresa, i quali misero a disposizione i lori beni e il loro denaro, senza dimenticare i numerosi volontari che donarono il loro lavoro. La prima persona non elvese che s’interessò alla questione fu il Duca di Savoia Vittorio Emanuele, che probabilmente si trovava a passare in questo luogo incantato per ragioni di caccia. Ad illustrare la problematica della possibile costruzione di una strada sull’orrido fu l’allora parroco don Pietro Giordana: ciò avvenne il 12 luglio del 1837. Un anno dopo, il 25 febbraio, venne emanato un atto dal re Carlo Alberto, circa il progetto della nuova strada nel Vallone Comba che doveva sbucare alla confluenza del torrente Elvo con il fiume Maira.

Il progetto per alcuni decenni venne però accantonato poiché, il Comune, partecipò alle spese di prolungamento della carrozzabile, già esistente a valle, da Alma Macra a Stroppo e più avanti fino ad Acceglio. La questione si riaprì solamente nel 1880, con la morte di Alessandro Claro, oste della borgata Traverse, il quale legò tutti i suoi beni al Comune, affinché provvedesse all’apertura della strada del Vallone. Il 7 ottobre del 1883 venne, infatti, costituita la Commissione Claro, per l'inizio di tale percorso, che rimase in vita fin dopo il secondo dopoguerra.

Nel febbraio del 1891, il primo sentiero, aperto in località Praietto, aveva una lunghezza di 1300 mt e giungeva al confine con il paese di Stroppo, il quale negò, alla piccola comunità, la possibilità di continuare il sentiero sul suo territorio, per paura dei danni economici che poteva recare il dirottamento del traffico mercantile da e per Elva su un altro itinerario. Il consiglio comunale decise così di rivolgersi alla Provincia, al Precetto e addirittura a Giovanni Giolitti, con i quali raggiunse un’intesa e nel mese di ottobre i lavori ripresero. Dopo soli due anni dall’inizio delle attività di costruzione, il sentiero raggiunse il fondovalle. Il transito era però molto pericoloso siccome si trovava a strapiombo del burrone, dove alcune persone precipitarono anche solo per aver messo un piede in fallo. Il Comune chiese così l’intervento, all’Autorità Militare, di un contingente di truppe per trasformare il sentiero in mulattiera.

Il Ministro della Guerra, nel 1895, accoglie la richiesta avanzata dalle autorità Elvesi, anche in considerazione del valore strategico di un possibile collegamento tra il Colle della Bicocca e il Colle del Mulo. Vennero così inviati un reparto di alpini e la 17a Compagnia dei minatori, i quali lavoreranno per circa sei mesi, ma che si limitarono al solo miglioramento delle condizioni del sentiero.

Nel 1899 il consiglio comunale, in base ad un’asta, affida i lavori nel Vallone all’impresa di Giovanni e Domenico Voli, originari di Cartignano. Alcuni anni dopo il signor Antonio Riberi di Stroppo dona Lire 10.000 al Comune di Elva, affinché il sentiero venga migliorato. Nel 1904 un ingegnere di Torino avanza la proposta della costruzione di una carrozzabile nell’orrido, che però non viene accettata dal Ministero dei Lavori Pubblici e in seguito a ciò le autorità militari si rimangeranno quanto dichiarato nove anni prima. Nonostante le obbiezioni militari, il Genio Civile, nel 1919, appalta a fondovalle un tratto di 850 metri e la prima galleria, la più lunga della strada che porta ad Elva.

Negli anni successivi venne studiato un nuovo progetto e i lavori furono affidati all’Amministrazione Provinciale, ma furono interrotti per la mancanza di fondi. Nel 1939 Benito Mussolini, in seguito ad una visita a Cuneo, accolse la richiesta degli Elvesi e dispose un’erogazione che consentì la ripresa delle attività. Queste ultime vennero però interrotte dallo scoppio della seconda guerra mondiale, che chiamò al fronte i valorosi giovani Elvesi.

Solo dopo 3 anni dalla fine della guerra venne riproposto il completamento della strada del Vallone. Il 12 maggio, giorno della festa di San Pancrazio, il santo protettore del paese, una commissione del Genio Civile arrivò ad Elva per ascoltare i pareri della popolazione circa la ripresa dei lavori e l’utilità della strada. Il gruppo di esperti decise di portare avanti l’opera, però mancavano i finanziamenti. Per cercare di ottenere tali dallo Stato, l’allora sindaco Natale Baudino e Marco Dao si recarono a Roma, dove riuscirono ad ottenere quanto sperato. I lavori furono così portati a termine nel 1956, anno durante il quale venne aperta anche la carrozzabile che collegava Elva al Colle di Sampeyre.

L’isolamento di Elva è dunque stato superato dopo un secolo di battaglie, ma questo solo grazie alla testardaggine e alla volontà dei suoi abitanti che vanno molto fieri di questa strada lunga all’incirca sei km, lungo i quali si contano ben 12 gallerie che sono state scavate nella roccia. A metà del Vallone, in una nicchia scavata sempre nella roccia si può vedere la statua della Madonnina, che ha il compito di proteggere il viandante, e vicino alla quale si leggono i nomi di coloro che hanno donato al Comune il loro denaro per la costruzione della strada e di coloro che durante i lavori sono precipitati nel burrone sottostante. Inoltre, sopra la nicchia, si legge la seguente frase: “Madonnina del Vallone proteggi il viandante”.

Il vallone strettissimo e lungo, convoglia le sue acque nel torrente Maira. Sul lato orientale passa la strada scavata nella roccia in quasi cento anni di perigliose vicende a partire dalla seconda metà dell'800. Vero e proprio " orrido ", il vallone è profondamente inciso in un suolo di origine marino vecchio di 200 milioni di anni, ed emerso 65 milioni di anni fa dal profondo del mare sotto l'effetto d'immani movimenti tettonici. 



I  PILONI

I piloni  a Elva, come in tutta la valle, sono la testimonianza di storia trascorsa. Costruiti in pietra calce e sabbia, raffigurano santi in particolare la Madonna; all'interno della nicchia sulla volta è dipinto il cielo con una colomba in volo che rappresenta lo Spirito Santo. Molto della costruzione era di natura religiosa, di superstizione contro il malocchio e le masche, contro le malattie e le epidemie. Dove non arrivava la medicina ufficiale ci si affidava al soprannaturale. 



AFRESCHI  MURALI

Nelle Borgate di Elva sono numerose le pitture murali di forma quadrata o rettangolare realizzate con tecnica dell’affresco. Poste sulle facciate principali delle abitazioni, in prossimità della cucina o della camera da letto,  raffigurano principalmente la Madonna o  il Crocifisso attorniati da santi.

Erano considerate una protezione della casa e dei suoi abitanti contro le forze negative, il malocchio o contro le così dette “ masche ”. La maggior parte delle pitture murali erano affidate ad artisti itineranti, o a pittori che lavoravano in chiese vicine  e nei ritagli di tempo si  prestavano a opere minori.



La ricchezza culturale che fra il quattrocento e cinquecento animava l’area del Marchesato di Saluzzo con la Provenza è all’origine di interessanti contatti tra figure di artisti locali ed itineranti che, portatori di esperienze di diversa origine, trovarono nel Marchesato di Saluzzo un favorevole punto di incontro e di scambio. Inserita in questo contesto anche la valle Maira fa da sfondo ad un prezioso alternarsi di maniere e di culture figurative che, in essa, si manifestarono nel corso del tardo Medioevo attraverso le opere di botteghe itineranti e di artisti tra i più attivi nelle terre del Marchesato, come Pietro da Saluzzo, Giovanni Baleison di Demonte e Tommaso Biasacci di Busca, soggetti a una tradizione figurativa di derivazione lombarda e mediterranea.

E’ in questo clima culturale che va inserita  la figura di Hans Clemer, pittore piccardo attivo sullo scadere del quattrocento in Provenza, accanto al cugino  Jossè Lieferinxe, e indicato come “ habitatorem civitare Salucie “ nel 1508.

A lui si devono, in valle Maira, il politico di Celle Macra commissionatogli nel 1496 dal parroco Giovanni Forneris da Piasco ed il prezioso ciclo di affreschi che decora le pareti del presbiterio nella parrocchia di Elva con scene tratte dalla vita di Maria intercalate dalla maestosa Crocifissione concepita sul modello nordico.


Piccola patria dei "Cavie", ovvero artigiani e commercianti nella lavorazione di capelli e trecce femminili di un tempo. Le origini del mestiere, ancora del tutto sconosciute, risalgono alla metà dell’800. Sembra che un giovane elvese emigrato a Parigi come cameriere, avesse proposto ad alcuni americani alla ricerca di lunghe trecce, i capelli delle sorelle che vivevano ancora a Elva. Il mestiere di Caviè, attività prevalentemente occasionale, fu un'occupazione curiosa e prestigiosa che gli uomini di Elva intraprendevano durante la stagione invernale. I Caviè, vagavano per le valli e i borghi di pianura alla ricerca di donne e giovani fanciulle disposte a cedere le loro lunghe chiome in cambio di denaro, di un taglio di stoffa o di un foulard. I capelli venivano venduti a grossisti, quindi lavorati e preparati per la realizzazione di parrucche destinate alle corti di Francia, Inghilterra e oltre oceano. L'attività veniva interrotta con la bella stagione per far posto al lavoro dei campi. La casa della Meridiana, recentemente sottoposta ad interventi di restauro che ha portato all'apertura del Museo di Pels e di un piccolo spaccio di prodotti locali, è un esempio di architettura sostanzialmente povera, realizzata esclusivamente con materiali del luogo (pietra sabbia e legno). L'edificio appoggia le sue murature portanti sulla roccia naturale, all'interno della quale è stata scavata la ripida scala di collegamento visibile nella sala due del museo. Dai documenti di archivio risulta che già a metà settecento la Casa della Meridiana ospitava al suo interno due nuclei familiari autonomi, alla metà del XIX° secolo contavano ben 21 persone. La donna, seduta su uno sgabello di fronte ai pettini, in un momento della lavorazione. Nelle varie fasi lavorative, però, non erano i pettini a passare tra i capelli, ma i capelli - tenuti saldamente tra le dita dalla donna - a passare tra i pettini che dovevano essere fissati con morsetti metallici o chiodi al tavolo di lavoro. Gli attrezzi del mestiere non erano molti ed erano costituiti principalmente da pettini particolari - " las brùstias " (con denti lunghi) e " lh¡ fèrres " (con denti più corti e più fitti - in acciaio e legno), con denti aguzzi e alti, posti a distanze differenziate a seconda dell'uso che se ne doveva fare. L'uomo sta lavando le ciocche di capelli, preparate in precedenza dalla donna, dentro una vasca in legno (la còncha per voltar) che conteneva acqua calda, sapone e un po’ di soda. Le matasse di capelli venivano trattenute tra le dita della mano e passate nell'acqua fino a quando, pulite e sgrassate, rendevano possibile l'individuazione delle radici. Le ciocche di capelli naturali lavorati e suddivisi per colore e lunghezza, pronti per essere utilizzati per il confezionamento delle parrucche.


PELVO d'ELVA 3064m

Pelvo d'Elva 3064m

La montagna domina da un lato la Valle Varaita e dall'altro l'alpestre conca di Elva in Valle Maira. La cima, formata da rocce metamorfiche (quarziti del Permiano), molto nota nell'ambiente alpinistico viene visitata con buona frequenza, sia dalla Valle Maira, sia dalla Valle Varaita di Bellino. La panoramica circolare è una tra le più complete dell'arco alpino sud-occidentale. La salita è facile, soltanto ultimo tratto a causa della ripidezza del canale di risalita va affrontato con la necessaria esperienza e prudenza. Il nome Pelvo, ha origini celtiche e significa elevata montagna rocciosa a forma piramidale caratterizzato da fianchi ripidi e vertice appuntito, significa secondo origini celtiche “elevata “; Elva rispecchia il termine provenzale.


LAGO CAMOSCERE 2644m

Lago Camoscere 2644m
Alle pendici del monte Chersogno, fra massi e aspre rocce, c’è un lago formatosi in tempi molto lontani in un avvallamento naturale di origine glaciale, noto con il nome “ Lago Camoscere “ a quota 2644 metri di altezza. Durante la stagione invernale, quando tutto è gelo e neve, il paesaggio che lo circonda è immerso nel più profondo e misterioso silenzio. A primavera, quando i prati rinverdiscono e rossi fiorellini scorrono a tappeto fra i sassi, il lago diventa verde-azzurro e le acque rispecchiano il cielo nella loro limpidezza e cristallina trasparenza.



Toma di Elva

Toma di Elva

 Formaggio a latte parzialmente scremato di vacche di razza piemontese. Si tratta di un formaggio stagionato, con crosta sottile di colore giallo chiaro, e pasta friabile. Dimensioni della forma: diametro 30 cm, scalzo 15 –20 cm. Si utilizza il latte di più mungiture, anche in relazione al numero di capi posseduti. Infatti si tratta spesso di animali allevati per la produzione di vitelli. Il latte lavorato è quello che resta dopo l’allattamento; esso è conservato in cantina del luogo per alcuni giorni subendo una certa acidificazione. Si verifica inoltre l’affioramento della crema, che viene separata ma solo in parte (solo quella di una o due mungiture). Il latte è scaldato a 35 C e si aggiunge il caglio. Si attende un’ora e si procede quindi ad una prima rottura . Dopo circa 5’ si esegue una seconda rottura a chicco di mais. La massa (siero più cagliata) è eventualmente sottoposta ad un breve riscaldamento, per ottenere un prodotto più asciutto. La cagliata è estratta con teli (ma si noti che alcuni erano soliti lasciare la cagliata sotto siero in un altro contenitore). A questo punto si ripete il ciclo appena descritto per 5 – 10 volte (ad es. si eseguono 5 lavorazioni in 5 giorni successivi, ogni giorno con il latte di due mungiture), finché la quantità di cagliata che si è ottenuta non è sufficiente. La pasta delle ‘tomette’ provenienti da questa serie di lavorazioni è sbriciolata molto finemente con le mani ed il tutto è mescolato fino ad ottenere una massa unica; in questa fase si aggiunge anche un pugno di sale. La pasta è poi depositata in fascera e sottoposta a pressione. Segue la stagionatura per almeno un mese, fino ad uno o più anni. Dopo il primo mese la crosta si crepaccia e consente lo sviluppo di muffe ‘blu’. Rispetto al procedimento tradizionale sopra descritto, attualmente si sono diffuse alcune tecniche più moderne, per esigenze tecnico-economiche ed igieniche. Ad esempio il latte è scremato per centrifugazione e miscelato al latte intero in proporzioni costanti (40 % scremato; 60 % intero); si effettua la pastorizzazione e l’aggiunta di fermenti lattici selezionati, la salatura in salamoia e una maturazione in cella per i primi 40 giorni di stagionatura. Prodotta a Elva in Valle Maira.  


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A SPAS PER LOU VIOLS 
Il percorso che vi proponiamo, nel complesso, ha una lunghezza di circa 30 chilometri e un tempo di percorrenza, per un medio camminatore, di otto ore. È possibile interromperlo in sei punti e rientrare alla borgata Serre, in quei punti è possibile iniziare una parziale percorrenza. Il sentiero è interamente segnalato, cosi come i punti di ritorno. Detto percorso si snoda principalmente su antiche mulattiere e tocca, o sfiora, tutte le borgate di Elva. Dove segnalato sarà possibile effettuare il tracciato anche in mountain bike o a cavallo e durante la stagione invernale con le racchette da neve. Partiamo dunque per la nostra gita, dal capoluogo, borgata Serre quota 1637 metri slm. Di qui, passando davanti all’odierna foresteria “La Fernisola”, ci incamminiamo per la strada asfaltata e in 10 minuti raggiungiamo la borgata Goria – Mattalia a quota 1661 metri slm. Questa borgata è la più meridionale del gruppo abitato denominato Goria che conta, in tutto, cinque agglomerati abitativi. Mattalia è composta da nove case: nelle due più grandi, che sono sulla destra subito prima e dopo la fontana pubblica, si possono notare due colonne in pietra, una rotonda e una quadrata, a sostegno del tetto. L’abitato è disteso su ampio pendio assolato in lieve declivio. Di qui, passando accanto alla fontana pubblica, seguendo la vecchia strada in 5 minuti arriviamo ad un’altra borgata del cantone di Goria: Isaia quota 1703 metri slm. Il nome di questa frazione, come quello di Mattalia, è di origine ebraica. Questa tranne alcune case, di cui una prospiciente alla strada, è in forte stato di degrado. Di qui proseguiamo verso la pineta sulla strada che per centinaia di anni fu la più importante via di comunicazione degli elvesi con gli altri paesi della Valle Maira, specialmente con stroppo. Questa parte del percosso passa interamente in un grande bosco di larici. Raggiungiamo da prima, in 15 minuti, una fontana detta “dell’Arsisa” a quota 1778 metri slm, qui possiamo riempire le borracce con acqua fresca e purissima per proseguire in direzione della chiesa di S. Giovanni a quota 1872 metri slm, che raggiungiamo in 15 minuti. L’impressione che si ha, arrivati in questo luogo, è indescrivibile. Se crediamo in Dio, sicuramente si è fermato qui e ha voluto manifestare la sua grandezza. L’occhio può spaziare tutt’intorno, con da un lato la conca di Elva e le sue montagne, dall’altra la valle e in basso la pianura. Al centro della radura c’è una piccola chiesa rotonda, dedicata al culto di S. Giovanni, dove viene celebrata la messa l’ultima domenica di giugno. Continuiamo il nostro cammino e in 10 minuti raggiungiamo la provinciale, verso la costa Cavallina a quota 2000 metri, che sale da Stroppo e percorrendola in direzione di Elva per circa 5 minuti, superato il bivio per il Colle di Sampeyre, incontriamo una strada sterrata sulla destra. In questo punto possiamo interrompere il percorso, facendo ritorno ad Elva borgata Serre seguendo la provinciale. Oppure proseguiamo sul nostro sentiero, che si presenta pianeggiante e molto panoramico, e raggiungiamo la località Chiotti a quota 1864 metri in 15 minuti. Questa località è costituita da grandi prati in lieve declivio, che sovrastano le tre borgate più alte del cantone di Goria: Superiore, di Mezzo e Ugo. Di qui nuovamente i nostri occhi possono spaziare su tutta la conca elvese e la dolcezza del paesaggio pervade l’osservatore con un senso di pace. Da questa località raggiungiamo, in 20 minuti, con un percorso prima in discesa fino ad una fontana e poi in salita, la base delle rocce di “Ripalta” a quota 1900 metri, di qui in avanti il paesaggio si fa più aspro e scosceso e proseguiamo su un sentiero che taglia a mezza costa un ripido prato che sovrasta la borgata Morelli. Questa deve il suo nome probabilmente ad un notaio di Acceglio, che esercita la propria attività ad Elva nel 1700 qui stabilendosi temporaneamente. Il sentiero prosegue permettendoci di raggiungere in 35 minuti la borgata Martini a quota 1726 metri slm. Il nome di questa borgata è certamente dovuto al culto di S. Martino, è di grandi dimensioni ed è collocata in posizione molto soleggiata con tutto intorno un’ampia distesa di campi e prati. Su un comignolo si può ancora notare il disegno di una meridiana circondata da una scritta parzialmente leggibile. Da questa borgata possiamo interrompere il percorso, facendo ritorno a Serre. Altrimenti seguendo la strada comunale, svoltando a destra, in 10 minuti raggiungiamo il bivio che, sempre a destra, incontra una strada sterrata di recente costruzione e a sinistra si prosegue per le borgate: Baudini, Frangette e Meira. La prima di queste deve il suo nome al casato dei Baudino, mentre le altre due con il loro stesso indicano che da principio erano costituite da grange per il soggiorno temporaneo dei pastori. Tornando al nostro percorso, imbocchiamo la strada sterrata prima citata al bivio a destra, e in 1,10 minuti raggiungiamo la località Grange a quota 1830 metri. Il percorso prima in salita, poi diventa pianeggiante e taglia a metà un enorme dirupo detto “Barsaie”, qui non è raro incontrare delle pernici che trovano in questo luogo, il loro abitat naturale. Proseguendo si incontra un immenso prato in ripido declivio denominato “Chiampines”. Avanti incontriamo la prima delle tre borgate di questo luogo, Grange Viani poi Grange Laurenti e infine Grange Garneri. Il nome indica che anche qui il primo insediamento fu dovuto a pastori che costruirono delle grange per i pascoli estivi del bestiame. Altra nota di rilievo è costituita dalla campana della cappella di borgata Laurenti, si di essa è incisa una scritta, datata 1664 che ricorda l’insediamento di uomini, provenienti dal vicino Delfinato di religione Calvinista, eretici dunque che qui si rifugiarono dai loro luoghi di origine cercando scampo alla persecuzione. La Cappella è dedicata al culto dei santi Claudio e Chiaffredo; ogni anno la prima domenica di settembre viene celebrata una messa. Da questa località riprendiamo il nostro cammino e attraversando la borgata Garneri, possiamo notare l’esistenza di un antico pozzo medioevale. Fatto unico a Elva e raro in genere in montagna. Attraversiamo il “bosco degli Ortili” e raggiungiamo la borgata Chiosso superiore in un’ora, a quota 1670 m. slm questa frazione è sovrastata dal piccolo sito denominato Baletti, che incontriamo sul percorso. Il nome Chiosso deriva da Chiotto o Closso e indica una zona pianeggiante dove si alternano campi e prati, tale è questo luogo. Troviamo anche una chiesa dedicata al culto di S. Anna e ogni anno viene celebrata la messa il giorno della festività omonima. Di qui scendiamo, percorrendo la strada asfaltata, alla borgata Chiosso inferiore raggiungendola in 15 minuti. Proseguiamo ancora e in 5 minuti arriviamo al ponte “dell’Alberg” che permette l’attraversamento dell’omonimo torrente. Ancora   visibile, sulla sinistra, un fabbricato adibito a mulino, per la macina dei cereali, rimasto in funzione fino al 1963. in alto, sulla sinistra, intravediamo la borgata Castes. Questa frazione era situata sull’antica via di accesso alle borgate di Grange e a queste, da sempre, è stata legata nelle sue vicende. Dal ponte possiamo interrompere nuovamente il percorso raggiungendo il capoluogo seguendo la strada asfaltata, in questo caso incontreremo le borgate: Rossenchie, Dao, Clari, Reinaud e Villar. Poco distante dalle case della borgata Reinaud si trova la cappella dedicata a S. Bernardo di cui si racconta, nella tradizione popolare, fosse stata la prima parrocchia di Elva. Riprendendo il nostro sentiero, dalla località ponte Alberg, costeggiamo il torrente e raggiungiamo, in 20 minuti, la borgata Molini Allioni a quota 1437 metri. Il nome di questa frazione, come la sottostante Molini Abelli, deve il suo nome alla presenza di mulini per la macina di cereali o il pestaggio di canapa e lino, anche qui troviamo una cappella che è dedicata al culto della Madonna Consolata. Di qui, imbocchiamo il sentiero a destra davanti alla chiesa, proseguiamo verso la borgata Brione, che raggiungiamo in 40 minuti. Il percorso si inerpica su uno stretto sentiero che raggiunge un punto panoramico denominato “Rocca Castello”, a quota 1577 metri. Di qui si apre uno stupendo panorama che ci permette di osservare i luoghi fin qui percorsi, è possibile anche scorgere quasi l’intero tragitto che compie l’odierna strada del vallone. Ci troviamo all’inizio di un grande prato, un tempo campo, che alla sua base ha la borgata Brione, a quota 1470 metri, nei campi attigui un tempo si coltivava anche il grano, cosa rara ad Elva, e questo era possibile grazie al clima mite di cui gode questo posto. L’irrigazione dei campi era resa possibile grazie ad una balera che prendeva l’acqua dal torrente Chiosso nell’opposto del vallone. Si può raggiungere questo luogo anche con un percorso alternativo. Da Chiosso si prende il sentiero segnalato che porta, attraversando il bosco di “Tavanet”, alla “Rocca Orsieres” a quota 1996 metri che raggiungiamo in un’ora. Di qui proseguiamo poi in direzione Brione impiegando un’ora. Riprendiamo il nostro cammino sul sentiero che, prima pianeggiante poi in ripida discesa, ci porta in 15 minuti alla borgata Lischia a quota 1359 metri. Questa frazione è situata su un versante scosceso al di sotto della precedente, per la coltivazione dei campi gli abitanti furono costretti in molti casi a terrazzare il terreno. Proseguiamo sulla strada di nuova costruzione e raggiungiamo la provinciale del Vallone a quota 1400 metri slm in 25 minuti. Di qui proseguiamo a sinistra possiamo raggiungere il capoluogo, altrimenti proseguendo a destra dopo poco troviamo l’indicazione del sentiero, che in un’ora e quindici minuti, ci porta al ponte del “Molinas” da dove, svoltando a sinistra, in 5 minuti raggiungiamo il luogo di partenza borgata Serre. La borgata Serre: sede della casa Comunale, della scuola elementare statale, dell’ambulatorio medico, dell’ufficio postale e della chiesa parrocchiale, è geograficamente situata nel centro del territorio comunale. La chiesa, monumento nazionale, da sola costituisce un valido motivo per una visita ad Elva visto il suo alto contenuto artistico e storico. La sede municipale fu costruita a seguito della delibera consiliare del 31 luglio 1764. l’edificio venne realizzato ampliando e ristrutturando i locali della confraternita di S. Spirito. Il portale in pietra che dà accesso al giardino prospicente la parrocchiale è di epoca medioevale e proviene dalla confraternita prima menzionata. Il servizio postale è stato attivato dalla seconda metà del 1800. Questo luogo è da sempre il punto di arrivo e di partenza delle vie di comunicazione dai paesi vicini e dalle varie borgate. La viabilità un tempo era permessa grazie alla costante opera di manutenzione e sgombero neve, che veniva assicurata dalle dezene, ovvero gruppi di uomini, provenienti dalle varie borgate che seguivano le disposizioni consiliari riguardanti il lavoro da compiere.

… ndr Giulio Rinaudo


IL FORNO DELLA BORGATA CHIOSSO SUPERIORE (ELVA)

“ Chioto de petris “

Sono stati ultimati a Elva i lavori di ristrutturazione del forno a legna in Borgata Chiosso Superiore (q. 1670 m.), grazie alle oltre 900 ore di lavoro volontario di quattro uomini elvesi.

Si presume che il forno sia stato costruito nel 1891 ad opera di Raina Bertolino e Claro Pietro, come inciso su una pietra murata nella facciata del forno, vicino alla bocca.

Infatti nel libro figurato della Comunità di Elva, redatto per conto del Comune dal geometra misuratore Giovanni Giacomo Zoccola e ultimato nel 1792, non risulta, nella borgata, la presenza di alcun forno. La primitiva costruzione era un po’ diversa da quella di oggi. Il tetto aveva due falde con una trave di olmo al centro, ma questa impostazione non era quella ottimale data l’ubicazione del forno, in quanto il muro di una casa attigua ostacolava lo scolo della neve. Perciò nel 1943 si costruì un tetto non più a due falde, ma ad una soltanto, con pendenza verso la strada. Per tale lavoro venne incaricato un muratore di Prazzo soprannominato “ la lepre ” che, coadiuvato da alcuni frazionisti, portò a termine l’opera in breve tempo. La capienza del forno era di circa cinquanta pani rotondi grandi. La cottura iniziava nella settimana dei santi di luna buona, detta “steles”. Prima si faceva cuocere il pane per i cani “plet” ; le successive 10-12 sfornate erano destinate alle famiglie (in media una sfornata da 500 pani per famiglia;  doveva durare per tutto l’inverno!) e la terza sfornata, detta “finirol” era costituita da  torte di meliga. Il forno rimase in funzione fino alla fine del 1957. In seguito si preferì cuocere il pane in un altro forno privato della borgata perché più piccolo e quindi più facilmente riscaldabile, dato che a quel tempo la borgata aveva già perso parte dei suoi abitanti a causa dello spopolamento. Dopo circa quarant’anni di mancata manutenzione il forno si trovava in totale degrado.  Oggi, per volontà di alcuni frazionisti, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e del Comune di Elva, il forno è stato completamente ristrutturato e potrà essere usato per fare il pane come ai vecchi tempi da tutta la borgata che durante la bella stagione si ripopola.            


“Font d’Arsisso “

A 1778 metri di quota, lungo l’antica mulattiera di comunicazione attraverso i Colli San Giovanni e Bettone, nel mezzo della “foresta incantata “, che nei giorni di prima estate s’infiamma di rododendri. Acqua freschissima e leggera, riflette il cielo sul pianoro, nel verde fiorito di genzianelle e viole, dove si sente nell’aria il canto dolce delle cince sulle rame dei larici e il tocco vicino e lontano dei campanari delle mandrie pascolanti.

“”” vorrei, che nel paradiso ci fosse un’acqua buona e un posto bello come “font d’arsisso “. Cosi una cara nonna, bambina pastorella di lassù, dal suo balcone, esprimeva un desiderio, mentre nel cielo cadeva una stella.



Quante volte, nell’anno scolastico 1954-55, ho fatto a piedi il tragitto dal fondovalle a Grange di Elva e viceversa! Con zaino, strapieno di provviste, di solito impiegavo più di tre ore per raggiungere la mia sede sotto il Pelvo. Il percorso, che correva in buona parte lungo il vallone di Elva, era oltremodo disagevole; infatti, dopo il tratto della strada in via di costruzione, non c’era altra soluzione che seguire la mulattiera che ora si inerpica scoscesa nella roccia, ora serpeggiava tra i larici che a stento crescevano sul terreno arido. Soltanto la necessità di raggiungere la scuola, dove insegnavo, mi era di sprone a proseguire ed a ripetere tante volte la stessa fatica e sopportare altre sudate. Era, quindi, giustificato in quel momento questo mio sogno: avere una strada discreta e carrozzabile al posto della solita mulattiera disagevole, per poter usare il mio motoscooter M.V. 150 che, invece, dovevo parcheggiare in un fienile a Ponte Marmora. In quelle ore interminabili, solo con i miei pensieri, maturò in me l’idea di raggiungere Elva scendendo dal Colle di Sampeyre, che era unito alla Valle Varaita da una vecchia strada militare. Ero giovane e avevo l’entusiasmo e la spregiudicatezza dei giovani. Era una sfida con me stesso e sottovalutavo i rischi a cui andavo incontro. Tuttavia volevo anche dimostrare che una strada poteva strappare gli Elvesi al loro secolare isolamento e rendere più agevoli i collegamenti con il fondovalle. Partii il 14 luglio 1955. non volevo plagiare una data famosa, ma il motivo era giustificato dal fatto che il 17 dello stesso mese ad Elva si festeggiava San Quirico, patrono del paese. Sul mio motoscooter a Costigliole Saluzzo inforcai la Valle Varaita e mi fermai a Sampeyre per fare il pieno, perché per un po’ non avrei trovato altri distributori. Iniziai subito la salita serpeggiando tra boschi e prati odorosi di fieno novello. Ecco il Colle di Sampeyre, la prima parte della mia meta, ma per me anche la fine di un percorso discreto. A destra la strada proseguiva verso la Bicocca, sito destinato ai campi militari estivi. Elva era laggiù, in fondo ad un’ampia conca naturale, un puntino grigio che si perdeva tra il verde dei boschi delle ultime pendici del Chersogno. Lo confesso: provavo la stessa gioia di uno scalatore che vede poco lontano la cima da conquistare. Queste sensazioni e la volontà di farcela non disgiunte da una grande attenzione, mi accompagneranno per il resto del percorso. D’ora in poi per un bel tratto non esisteranno più mulattiere e sentieri ma soltanto prati e dirupi erbosi, boschi di abeti, larici e rododendri ed io ero solo con il mio motoscooter. Scesi a zig-zag cercando di non ruzzolare e di fare capitomboli dalle brutte conseguenze. Ogni tanto, però, nei punti nevralgici ero obbligato a scendere e procedere con la moto in movimento, cercando di superare la difficoltà incontrate. Dopo tanto faticare ecco la prima borgata: Goria. Un sospiro e la bella sensazione che ormai era fatta. Alla prima seguirono altre borgate collegate tra loro e al capoluogo da mulattiere decenti. Finalmente arrivai a Serre, capoluogo di Elva, stanco e sudato, ma pervaso da una grande soddisfazione. Ce l’avevo fatta. La prima moto era giunta ad Elva ed era la mia. San Quirico mi aveva visto e mi aveva protetto. La domenica, sulla piazza del Municipio, la moto attirava l’attenzione generale. Penso che tutti erano coscienti che qualcosa stesse per cambiare nella loro vita e che la strada, da tempo iniziata, potesse giungere presto al loro paese. Il martedì successivo ripartii per il ritorno a casa. Dovevo seguire la mulattiera di cui gli Elvesi si servivano per scendere a valle. Dopo un bel tratto discreto notai subito che le cose si mettevano male. Nella gola del vallone il torrente scendeva rapido e la mulattiera correva a pochi passi. Uno strapiombo da rabbrividire. Era più che necessario usare la massima attenzione per non finire laggiù. Finalmente dopo tante difficoltà superate, giunsi al cantiere della nuova strada, in quel momento inattivo per le ferie estive. La mia fatica, direi la mia avventura, praticamente era terminata. Ora c’era una strada, sia pure da sistemare, e poi la provinciale Cuneo-Acceglio. Mi era andata bene. Avevo rischiato, ma ne era valsa la pena. L’auspicio di una strada diventava realtà l’anno dopo, quando una strada sterrata collegò Elva a San Martino di Stroppo. Nel giro di un paio di anni Elva ebbe non una, ma tre strade. Forse era anche servito il mio “colpo di piccone”.

 Testo e foto di Giacomo Parola

ndr … La Ciapera (sottosezione Cai Borgo San Dalmazzo - Cuneo)



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